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Con la TBM Marisol nel cuore di Palermo (capitolo 2/3)

Con la TBM Marisol nel cuore di Palermo (capitolo 2/3)
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PALERMO – Pubblichiamo la seconda parte della visita che abbiamo fatto nel cantiere del Passante Ferroviario di Palermo, dove la TBM Marisol sta realizzando lo scavo della galleria dispari tra le stazioni di Natarbartolo e Belgio. Nella prima parte avevamo descritto la parte esterna del cantiere a Palermo Notarbartolo (vedi notizia del 05/05/2018).

La galleria
Quando raggiungiamo l’imbocco della galleria dispari ci troviamo ancora nel pieno piazzale della stazione Notarbartolo. Questo tunnel deve disporsi al di sotto della galleria pari, preesistente, che corre in rettilineo lungo l’asse di viale delle Alpi, distante soltanto qualche centinaio di metri dalla stazione. Il piano del ferro della dispari deve collocarsi, in corrispondenza del suddetto rettilineo, 15 metri più in basso rispetto a quello della pari. Per ottenere la  sovrapposizione delle gallerie rispettando le pendenze massime del 19‰, si è dovuto collocare l’inizio della “livelletta” in discesa già all’interno della stessa stazione.

Dal punto di vista strutturale, la parte iniziale della galleria, per un’estesa di 153 m., è stata scavata con metodo tradizionale: ciò per tenere conto non solo dei bassi ricoprimenti presenti rispetto alla superficie, ma anche della necessità di superare le fondazioni dell’alto muro di contenimento che delimita il trincerone di stazione ad ovest. Una volta montata la TBM nel cantiere antistante l’imbocco, essa è stata fatta scivolare fino al fronte di scavo; a questo punto, a fine agosto 2017 è iniziato lo scavo meccanizzato vero e proprio.

Il percorso lungo la galleria scavata (che alla data di pubblicazione di questo articolo, ha raggiunto i 993 metri dall’imbocco, di cui circa 840 di scavo meccanizzato), avviene piuttosto velocemente, ma permette di osservare le peculiarità del lavoro svolto, apprezzando la tecnologia utilizzata. Innanzitutto, per chi ha visitato altre gallerie, è percepibile la quasi totale assenza di polveri e di acqua di filtrazione (foto 7). Può sembrare un dettaglio, ma la metodologia operativa delle TBM mette al riparo gli operatori dalla cospicua produzione di polveri che caratterizza, in generale, lo scavo di gallerie; inoltre, le pareti appaiono perfettamente impermeabilizzate e non si nota nessun rivolo d’acqua. La cosa è alquanto sorprendente, se si considera che quasi tutto lo scavo avviene in piena falda acquifera.

Lungo le pareti notiamo la presenza, in alto sulla sinistra, del nastro trasportatore, agganciato al rivestimento della galleria tramite catene; al centro, il grande tubo di ventilazione. Quest’ultimo è alimentato da un ventilatore collocato nei pressi dell’imbocco, dotato di appositi filtri per garantire la salubrità dell’aria immessa in galleria.

Lateralmente, una lunga serie di tubazioni; leggiamo, fermandoci un attimo ad osservarle, le scritte che indicano le sostanze trasportate dall’esterno al fronte di scavo: aria compressa, acqua di raffreddamento in andata e ritorno, silicato per comporre le miscele sigillanti (foto 8). C’è anche, più in alto, un tubo corrugato di colore rosso, che serve al trasporto della corrente elettrica a media tensione (20.000 V) per alimentare i complessi macchinari della TBM.

Il percorso tiene conto delle esigenze di sicurezza: è costantemente illuminato e presenta, a distanze regolari di 125 metri, piccole postazioni dotate di dispositivi di sicurezza e di allarme, identificabili con una luce blu. Ogni 250 m., nelle postazioni sono collocate anche apparecchiature telefoniche per comunicare con l’esterno; in questo caso, la luce identificativa è verde. Per un lungo tratto, la galleria presenta una platea di fondo con la quale si è realizzato un piano di scorrimento orizzontale che facilita lo spostamento dei veicoli da e per l’imbocco. Tale platea è stata eseguita nel lungo periodo di interruzione delle lavorazioni a causa di un guasto alla macchina, e si prolunga per circa 600 m. dall’imbocco. Nel tratto successivo, la galleria presenta ancora la sagoma circolare descritta dagli anelli di rivestimento (foto 9); ognuno di essi è numerato sequenzialmente, a partire dall’imbocco, come indicato dalle cifre di colore blu che leggiamo insieme ad altre, di diverso colore, che riportano, per ogni singolo concio, i dati necessari per tracciare le fasi produttive del pezzo sin dal getto in stabilimento (foto 10). Per precauzione, alcuni particolari sensori informatizzati, installati a distanze regolari, consentono il controllo della stabilità del rivestimento in opera, rilevando ogni piccolo spostamento o anomalia che dovesse verificarsi durante i lavori (foto 11).

Va rammentato un aspetto fondamentale: la galleria realizzata dalla TBM è praticamente completa dal punto di vista strutturale. A differenza dei tunnel tradizionali, infatti, non è necessario realizzare un rivestimento definitivo in aggiunta a quello provvisorio, messo in opera subito dietro il fronte di scavo: la TBM scava e riveste nel giro di pochi metri;  una volta completo, questo rivestimento non necessita di ulteriori lavorazioni. Occorrerà semplicemente creare il piano di posa per l’armamento ferroviario e procedere alla realizzazione di binario ed impianti.

Giungiamo quindi sulla parte posteriore della TBM. La macchina è sommariamente composta da tre sezioni principali le quali assolvono ciascuna uno specifico scopo nell’attuazione del processo di costruzione del tunnel: la testa fresante (cutterhead), lo scudo (shield), ed il backup. Li percorriamo in senso inverso, andando dall’imbocco verso il fronte di scavo (foto 12).

La TBM: il backup
In pratica, si tratta di una struttura realizzata come un treno, che scorre sul rivestimento già eseguito attraverso apposite ruote, e che serve semplicemente a trasportare tutti i dispositivi di cui la macchina necessita nelle operazioni di scavo quali ad esempio pompe, cabine elettriche, contenitori di varia natura, impianti di miscelazione malte, sistemi di guida e di controllo. Il backup, lungo circa 100 m., è assemblato proprio come un treno, con vagoni distinti e collegati fra loro anche per ciò che concerne la continuità delle tubazioni, che al suo interno si distinguono per il colore: verde per l’acqua, viola per le miscele cementizie, blu per l’aria compressa, nero per gli altri fluidi.

In tutta la sua lunghezza il backup è distinto in due piani: quello inferiore contiene uno spazio centrale libero per il passaggio dei mezzi destinati a portare i conci prefabbricati per il rivestimento fin dietro la testa fresante; lateralmente sono presenti delle passerelle per il passaggio del personale e delle tubazioni (foto 13). La parte superiore è sede dei macchinari a supporto dello scavo, veri e propri sottosistemi che collaborano insieme per la buona riuscita del processo di scavo, come in una vera e propria fabbrica; una fabbrica che cammina (foto 14).

E’ proprio qui che incontriamo il responsabile della TBM, tecnico di grande esperienza che ha lavorato in molte gallerie scavate con queste formidabili macchine fra le quali, ultimamente, quelle realizzate per la metropolitana di Napoli. Ci porta a far visita alla parte anteriore della TBM, in corrispondenza dello scudo.

Lo Scudo
Lo scudo non è altro che un cilindro di acciaio di diametro pari all’estradosso della galleria da scavare, nel nostro caso 9,40 metri. Esso permette di eseguire, al suo interno, in condizioni di piena sicurezza e separazione rispetto alla galleria non ancora rivestita, le attività di guida e controllo dei parametri macchina nonché di posa in opera ed intasamento del rivestimento, composto dai conci prefabbricati in calcestruzzo armato già visti, stoccati in cantiere.

Nelle operazioni di escavazione meccanizzata ha un’importanza fondamentale la pressione dei martinetti idraulici che forniscono la spinta alla testa fresante presente nella camera di scavo. I martinetti operano all’interno dello scudo, trasferendo la pressione ad un enorme cerchio in acciaio detto diaframma, che lo separa dalla camera di scavo. Il diaframma, sottoposto a questa spinta, comprime lo smarino ivi presente, a cui viene aggiunto il liquido di “condizionamento” che lo trasforma in una sorta di fanghiglia fluida; quest’ultima, a sua volta, sostiene il terreno circostante evitando qualsiasi deformazione o rilascio dello stesso  intorno allo scavo. Si tratta del principio della “pressione di terra bilanciata” grazie al quale il fronte di scavo è sostenuto dallo stesso smarino appena scavato e fluidificato.

I martinetti spingono lo scudo e la testa fresante appoggiandosi al rivestimento già realizzato in precedenza.  Una volta completato un metro e mezzo di scavo, pari alla larghezza di un anello in conci prefabbricati, lo scavo viene interrotto e si procede alla posa in opera di un nuovo anello di rivestimento. Ciò avviene tramite un’altra formidabile apparecchiatura presente all’interno dello scudo: l’erettore dei conci. Si tratta di una vera e propria gru di sollevamento, studiata per prelevare e porre in opera i conci giunti al di sotto di essa tramite i vagoncini che passano sul piano inferiore del backup. I conci, vengono agganciati tramite un sistema a vuoto, una sorta di enorme “ventosa”, sollevati e ruotati fino a raggiungere la parte di rivestimento in cui saranno definitivamente collocati (foto 15). Una volta posto in opera l’ultimo elemento prefabbricato, denominato chiave (Keysegmet), l’anello di rivestimento è completo; si procede quindi al reset del modulo di comando della TBM ed alla preparazione per la spinta successiva, contestualmente alla quale una squadra dedicata provvede all’iniezione di malta cementizia a tergo dell’anello appena posato.

Ciò consente di sigillare lo spazio presente tra conci e terreno scavato, provvisoriamente occupato dallo spessore dello scudo che viene fatto scorrere in avanti liberando lo spazio e consentendo alla malta di intasarlo. Il procedimento, complesso ma geniale, in pratica consente di effettuare tutte le lavorazioni senza mai entrare a contatto con il terreno privo di rivestimento: un rivestimento inizialmente costituito dallo scudo e successivamente dagli anelli di conci prefabbricati e dalla sigillatura in malta cementizia.

La malta, per l’ottenimento di queste caratteristiche, deve essere ovviamente in grado di consolidare subito nell’intercapedine compresa tra conci e terreno circostante. Ciò viene ottenuto attraverso la miscelazione dei due componenti separatamente trasportati sul fronte di scavo. Da una parte si ha una miscela di acqua, inerti e bentonite, dall’altra una miscela di silicati, ovvero quelle sostanze che costituiscono la parte consolidante del calcestruzzo. Una volta iniettati dietro lo scudo, le due sostanze entrano a contatto e “gelificano”, ovvero consolidano, nel tempo massimo di soli 7 secondi!

Appuntamento a Mercoledi  09/05/2018 con il terzo e ultimo capitolo.

Roberto Di Maria[spacer height=”20px”]

Nella foto di copertina la camera iperbarica per l’accesso al fronte di scavo. In galleria altre immagini.
Palermo, 00 aprile 2018 | Foto, Roberto Di Maria

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